(Foto: Cassandra Helfer, dopo una visita dal medico)

I pazienti con malattie difficilmente diagnosticabili spesso sperimentano sulla loro pelle il «medical gaslighting». Il rapporto di fiducia viene distrutto perché il medico minimizza o non prende sul serio i sintomi del paziente.

È quanto è accaduto anche a Cassandra Helfer membra del Comitato consultivo dei pazienti dell’OSP. Abbiamo parlato con lei della sua esperienza personale come malata di encefalomielite mialgica (ME/CFS) e degli episodi scioccanti che l’hanno traumatizzata.

Le persone affette da malattie croniche e poco studiate spesso si rendono conto che i loro sintomi sono minimizzati. Anche tu hai avuto esperienze simili?
Sì, purtroppo questa è una delle mie principali vicissitudini con la sanità. Mi ci sono voluti dieci anni per ottenere la mia diagnosi principale di ME/CFS – encefalomielite mialgica, e lungo la strada purtroppo mi sono resa conto che spesso i miei dolori non venivano presi sul serio.

Puoi fare qualche esempio concreto?
La forma più lieve è quando lo specialista non sa cosa fare e vuole comunque fornire una “risposta” al paziente, magari anche con le migliori intenzioni. Una dottoressa nel complesso molto comprensiva ha ripetutamente ipotizzato che il mio esaurimento fosse probabilmente qualcosa di psicologico – perché durante le sue analisi non aveva trovato nulla. Eppure gli esami psichiatrici avevano dimostrato il contrario. L’atteggiamento di giustificare i sintomi fisici con ipotetici problemi psichici è tipico del “medical gaslighting”. Del resto è stigmatizzante per persone veramente malate di mente mettere con leggerezza tutto ciò che è inspiegabile nel calderone della psichiatria.

E le forme meno «lievi»?
Ho sperimentato situazioni in cui bisogna parlare chiaramente di abuso emotivo e di violenza. Un perito mi ha minacciato quando volevo mostrargli le mie gambe tremanti – e ovviamente non ha incluso il tremore come sintomo oggettivo nella sua perizia. Un altro medico ha addirittura fatto finta di aver effettuato delle analisi, dicendo che ormai tutto era stato esaminato e mi ha minacciato di ricovero in una clinica psichiatrica se l’esame medico non avesse avuto successo.

Un’altra volta, dopo lunghi colloqui preliminari, mi trovavo in ospedale per una diagnosi di ricovero in neurologia. All’inizio della visita, lo specialista mi ha chiesto in modo brusco e ad alta voce: “Che cosa ci fa lei qui?”. C’è poi stata una raffica di insinuazioni, provocazioni, domande confuse e un interrogatorio serrato. Non ho potuto piazzare parola. Questo medico mi ha messo alle strette al punto che la mia vicina di letto è uscita dalla stanza piangendo. In seguito, ho dovuto consolarla. Anche se in quel momento mi era già stata diagnosticata la ME/CFS – quindi una malattia classificata come neurologica – il medico mi ha spiegato in modo sprezzante che dal punto di vista neurologico ero completamente sana. Il reumatologo aveva consigliato una biopsia ma lui non l’aveva eseguita. Per giustificarsi, nel rapporto medico ha scritto il falso, ovvero che mi ero dimessa anticipatamente dall’ospedale. Proprio questo esame, sul quale ho dovuto insistere dopo il ricovero, ha portato poco dopo alla conferma di un’altra malattia neurologica: la neuropatia delle piccole fibre.

Ciò dimostra: il “medical gaslighting” non è “solo” invadente, ma può avere conseguenze enormi.
Esatto. In realtà ho dovuto essere dimessa con un giorno di ritardo a causa delle mie precarie condizioni generali, poiché non potevo essere trasportata. Dal punto di vista dell’assicurazione, non si possono quindi dimostrare le mie condizioni evidentemente pessime. I referti medici falsi sono particolarmente perfidi, perché ciò che vi è scritto decide del futuro dei pazienti!

Secondo me la cosa peggiore è non essere presi sul serio nelle situazioni di emergenza. Mi trovavo all’estero per un trattamento urgente in seguito a un’aritmia cardiaca. Con diversi valori del sangue fuori controllo sono stata rimandata in Svizzera per una terapia acuta. Mi sono annunciata tramite la cassa malati per una visita al pronto soccorso. Eppure sono stata rimproverata. Mi hanno detto: «Di notte gli endocrinologi dormono». Con il passare del tempo è emerso che il medico non conosceva le conseguenze potenzialmente letali di uno squilibrio dell’ormone tiroideo. Nonostante diversi anni di esperienza nella medicina d’urgenza, ha ammesso di non aver “mai avuto un’emergenza endocrinologica”. Anche questa frase è stata formulata come un rimprovero nei miei confronti.

Secondo te, perché i medici si comportano così?
In generale, per i medici non è facile ammettere che non sanno cosa fare e che nemmeno la medicina moderna può spiegare tutto. Questo è il terreno su cui nasce il “medical gaslighting”. La struttura della personalità, ma anche gli atteggiamenti e i pregiudizi personali giocano un ruolo. A volte lo fanno anche per nascondere errori.

Come ci si sente in questi casi?
È davvero dura. È traumatizzante. All’inizio sei perplessa. Ti domandi: perché non mi credono? Dopotutto, la fiducia è il requisito fondamentale per un rapporto funzionante tra medico e paziente. Sono qui perché ho bisogno di aiuto e di sollievo dai sintomi. Spetterebbe al medico proteggere la persona e avere un piano per guidarla attraverso i passi successivi. Non è facile difendersi quando un professionista non svolge questo compito.

E questo ti sconvolge. Ero ancora un’adolescente quando è iniziata la malattia. C’erano medici secondo cui ero troppo giovane per essere veramente malata. Oppure dicevano “Sì sì, una ragazzina, passerà”. Naturalmente mi chiedevo se ero io ad essere più sensibile degli altri e se non fossi in grado di affrontare le sfide del mondo degli adulti. Ma i sintomi erano reali: mi trascinavo al lavoro e regolarmente dovevo uscire per vomitare a causa della fatica eccessiva. Dopo il lavoro rimanevo immobile sul divano per tre ore, completamente esaurita. Fortunatamente, le persone a me più vicine mi hanno sempre creduta e sostenuta. Anche questa, tra l’altro, non è una cosa scontata.

Purtroppo, non si può dire che con l’esperienza si possa gestire meglio il “medical gaslighting”. Soprattutto quando l’hai vissuto più di una volta, spesso non riesci più a dire nulla. Ti blocchi e rimani lì con la tua tristezza o la tua rabbia.

Col senno di poi, ti sarebbe piaciuto fare qualcosa di diverso?
Col senno di poi, avrei dovuto cambiare medico prima. Ma avevo paura di non essere presa sul serio e passare per un’ipocondriaca che pratica il “doctor hopping”, ovvero continua a cambiare medico senza motivo. Una paura purtroppo giustificata. Avrei dovuto insistere di più e prima su ulteriori misure.

Cosa consigli ai pazienti che non si sentono presi sul serio dai professionisti medici?
Prima dell’appuntamento, scrivete ciò di cui volete discutere. E alla fine, insistete su un piano per come procedere. Gli specialisti che non prendono sul serio i dolori spesso cercano di sviare il discorso. Ma se avete male, avete bisogno di sollievo dai sintomi. Per sapere qual è la cura adatta, avete bisogno di una diagnosi o almeno di un appuntamento successivo. Per sbloccare una conversazione, si possono porre domande come «Cosa farebbe lei al mio posto?» oppure «Cosa direbbe alla sua famiglia in questa situazione?».

E se questo non aiuta?
Un accompagnatore può rafforzare la credibilità del vostro racconto descrivendo “dall’esterno” cosa ha osservato durante la malattia. La persona può intervenire anche in caso di comportamenti abusivi del medico. Se non vi sentite sicuri, può essere molto utile avere un testimone. Nel caso contrario, sarà estremamente difficile spiegare la situazione a terzi, poiché è influenzata da molti piccoli elementi come il linguaggio del corpo e il tono della voce. In casi gravi, bisogna essere pronti a interrompere la visita medica.

Queste tecniche di auto-aiuto da parte del paziente possono essere molto preziose, ma non sono sufficienti. Il gaslighting medico è una forma di abuso di potere. Come paziente sei la parte più debole in una relazione asimmetrica. Pertanto, per ottenere miglioramenti durevoli, bisogna puntare sulla sensibilizzazione dei medici e sull’aggiornamento professionale.

Cosa potrebbe aiutare a livello generale?
Immagino un modello in cui case manager indipendenti seguono casi complessi come il mio e coordinano la procedura. Così il paziente non deve ripetere ogni volta tutta la sua storia e superare lo scetticismo degli specialisti. Ci sono dentisti specializzati nei pazienti che hanno paura dei dentisti. Allo stesso modo potrebbero esserci medici specializzati per chi è traumatizzato dal “medical gaslighting”. Oppure centri specialistici regionali per casi complessi e cronici, con équipe specialistiche interdisciplinari. Ciò alleggerirebbe i medici generici da un lato e le cliniche altamente specializzate dall’altro. Sono convinta che, in questo modo, quadri clinici complessi potrebbero essere ristretti e diagnosticati meglio e i sintomi potrebbero essere alleviati più rapidamente. Inoltre esiste un enorme potenziale di risparmio.

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